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Speciale "La freccia dell'alto lazio"

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Il giorno della marmotta di Attigliano


Lo sapevamo.

La vita del pendolare è come quella di Phil o di Filippo. Avete visto il film? Phil era Bill Murray e Filippo Antonio Albanese, nel remake di pochi anni fa.
Ricordate?
È la storia di un uomo che vive sempre lo stesso giorno. Il giorno della marmotta, nell'originale americano. Lui si alza, ogni mattina, e tutto si ripete, esattamente allo stesso modo. Esattamente.
Bene. La vita del pendolare non è diversa da quella di Phil o di Filippo. Lo sapevamo.
Andata: stesso binario; stesso treno; stesso ritardo.
Ritorno: stesso binario; stesso treno; solo il ritardo può variare. A seconda. Ma sempre ritardo sarà. Una garanzia.
Così per anni. Senza che nulla cambi. Senza imparare a diventare migliori, come il personaggio del film. Anzi. Chi viaggia lo sa.
Ma tra tante scene già vissute fino alla nausea, ce n'è una imbattibile. Chiamatela "il giorno della marmotta di Attigliano".
La sceneggiatura è semplice: tu prendi almeno due ore di permesso perché hai un affare urgente di famiglia da sbrigare e quel giorno, solo quel giorno, devi stare a casa per le 15; alla stazione Termini salti sul Firenze delle 13:14 pieno di speranza, pregando tutti i santi del Paradiso che il treno non si fermi sulla direttissima, nella famigerata insenatura di Sant'Oreste, oppure in galleria, e che la coincidenza ad Attigliano aspetti...
La coincidenza... già.
Ad Attigliano, a quell'ora.
Questo giorno, in una decina d'anni di pendolarismo, l'avrai vissuto almeno una decina di volte. Tale e quale. Identico identico. Eppure non ti arrendi. Lo sai, sai già come andrà a finire. Ma tu non ti arrendi: incrollabile e scellerato ottimismo degli esseri umani.
Il 7 dicembre del 2005 c'è stata una nuova replica.
Arriviamo a Orte in orario, intorno alle 14. Non c'è motivo di scendere e prendere un pullman. Tutto sembra filare liscio. Ma ecco l'intoppo. Il Firenze non riparte. Aspetta dieci minuti. Inspiegabilmente. Cambio di macchinista, diranno poi. Tu sei lì che non sai che fare. Ti alzi, attraversi tutte le carrozze, cerchi il capotreno. Il capotreno è in cima, con il fischietto in bocca. Semaforo verde. Ti ci avvicini. Gentilmente ti spieghi. "Avrei la coincidenza per Viterbo ad Attigliano: tra cinque minuti. Sa, ho preso anche due ore di permesso." Ridi in modo scemo. Ti giustifichi, quasi. Si avvicinano altri pendolari, preoccupati, tremebondi. Il capotreno salta atleticamente in carrozza. Il Firenze riparte. "Non temete", rassicura. "Ora chiamo Attigliano, gli dico di farlo aspettare…" Si accosta altra gente: due signore di mezza età, un paio di vecchietti, stretti nel loro cappotto. "Non faranno mica partire la coincidenza?" chiedono. Fuori fa freddo, non smette di piovere. Il capotreno del Firenze rasserena anche loro, poi finalmente telefona. Lo sentiamo parlare. Sono le 14:13. Appena in tempo. "Ma il vostro orologio che ora fa?" si informa qualcuno. I pendolari controllano. Sta per scattare il quattordicesimo minuto. Il quattordicesimo minuto delle ore 14. Anche i numeri si ripetono, inesorabili. "Abbiamo fatto chiamare," dicono i pendolari, tra loro. A voce alta. Come per farsi forza, per evitare l'incombente calamità. "Il capotreno è al telefono." "Il capotreno…" ?!? Il capotreno non termina la frase. Abbassa la testa. Si gira verso di noi con un'espressione imbarazzata. Allarga le braccia. Chiude il cellulare. Ci pensa un po' su. Poi si fa forza. Riprende tutto il suo autocontrollo. "Dovevate venire prima," sentenzia, "non all'ultimo momento". "Perché?", chiediamo, ingenui. Ma conosciamo la risposta. "Mi spiace, è già partito," risponde. "In questo momento."
È già partito?
Sconcerto, sdegno, rabbia, rabbia, RABBIA…
Le hai già provate questa sensazioni, in serie, nella stessa medesima sequenza. Ma non se ne ha mai abbastanza. Il film è diventato un thriller psicologico. Il segreto della tensione, d'ora in poi, sarà tutto nei dialoghi. E in certe inquadrature. In certe facce incredule, furiose, per lo più rassegnate.
Alla stazione di Attigliano scendiamo in trentadue. Trentadue persone che attraversano i binari. Trentadue persone che ora dovranno aspettare almeno un'ora. Sono le 14:21. Il treno è partito da 7 minuti.
Il pendolare che aveva preso due ore di permesso si avvicina al vetro dietro cui manovra il capostazione di Attigliano.
"Lei ce l'ha una famiglia?" chiede. "Dei figli? Ha mai preso due ore di permesso?"
La prende larga, lui.
Il capostazione ha una sigaretta all'angolo della bocca. Fa finta di non capire. Sembra un western all'italiana.
"7 minuti. Non avete aspettato 7 minuti," comincia ad agitarsi il pendolare. "Noi subiamo almeno un'ora di ritardo al giorno e voi non potete aspettare 7 minuti?"
Il pendolare si infiamma. Comincia a gridare. Inghiottisce la saliva.
Attacco isterico.
Tutto già visto, tutto già detto.
Altra gente si unisce alla protesta. Aggira la vetrata, cerca la porta, penetra nell'ufficio.
"È il Regolamento," balbetta il capostazione.
I pendolari alzano la voce, minacciosi.
Il capostazione alza le braccia. "Non sono stato io," dice coraggiosamente. "Mi hanno dato l'ordine da Roma. Il Coordinatore del Movimento."
Un eroe, questo capostazione.
Il pendolare che aveva parlato per primo avanza di un passo.
"Può sporgere reclamo," dice il capostazione, e indietreggia.
Il pendolare lo ignora. Sa che è inutile. Risponderebbero che il treno è partito in orario. Magari con un minuto di anticipo.
"Voglio parlare con chi ha dato l'ordine. Voglio sapere il nome del Coordinatore." Estrae un taccuino e una penna, fa sempre scena.
Il capostazione allora prende il cordless. "Ora lo chiamiamo," dice accondiscendente. Quasi solidale.
Tutto già visto, tutto già detto. La scena si ripete, non può fare a meno di ripetersi.
Il capostazione di Attigliano chiama il Coordinatore del Movimento di Roma.
I pendolari ascoltano, in silenzio. Le pupille tremano, nervose.
"Ci sono qui delle persone che vorrebbero sapere il suo nome," dice il capostazione di Attigliano al Coordinatore, un po' confuso. Ha carattere, il tipo.
"Chi è?" pare che gli rispondano dall'altro lato. "Qui è Attigliano, - scandisce il capostazione - vi ho chiamato meno di un quarto d'ora fa."
"Chi?"
Il colloquio ci mette un po' a decollare.
"Le dicevo che ci sono delle persone qui… Be', sì, ho capito… il suo nome, vogliono sapere il suo nome… no, no, certo che non… sì, d'accordo… gliel'ho detto… sì, sì, gliel'ho detto… va bene, ma…"
"Mi ci faccia parlare," lo interrompe il pendolare. Vorrebbe strappargli il telefono di mano, ma si frena.
"Sì, senta, ehm… vogliono parlare con lei. Ho capito, ma… sì, io le sto spiegando che la situazione è… io riferisco, ho qui davanti un pendolare che ha chiesto di parlare con lei… con lei, sì… voleva sapere chi ha dato l'ordine di far partire la coinciden… già, mi scusi, le coincidenze non esistono più, gliel'ho detto… sì, insomma, vogliono sapere chi ha fatto partire il treno delle 14 e 14 e io… sì, il treno è partito in orario, certo… certo, ha ragione… perché l'ho richiamata? Ma, vede… okkei, okkei, va bene… certo, d'accordo, mi scusi…"
Il pendolare sente che la linea sta per cadere. Deve tenere fermo il braccio, ma il braccio è lì lì per scattare come una molla e impadronirsi di quell'affare… Non fa in tempo. Questa scena è la più dolorosa. Gli dovrebbero dare un oscar, al pendolare. Ogni volta la fa più drammatica. Al pendolare muoiono le sillabe in bocca…
Il Coordinatore del Movimento ha riattaccato. Non c'è più nessuno in linea.
Silenzio.
Il capostazione nasconde furtivamente il cordless.
"Guardate," dice ora rinfrancato, da padrone del gioco, "il Coordinatore ha ragione, non ha alcun torto."
Certo, il Coordinatore ha sempre ragione, pensano i pendolari.
Il Coordinatore…
"Le coincidenze sono state abolite tre anni fa, che volete… Questa è la Regola."
Le due signore e il vecchietto si accostano alla porta. Non capiscono. "Glielo spieghi lei che le coincidenze non esistono" mormora qualcuno, ed esce dalla stanza. "Le coincidenze non esistono, esiste l'Attigliano-Viterbo, delle 14 e 14," grida un altro. "Capito? L'Attigliano-Viterbo. Un trenone. Formidabile. Un bacino d'utenza che nemmeno a Parigi…"
Sulla banchina, una donna accusa una seconda crisi isterica. La soccorrono. L'ufficio del capostazione si svuota. Il capostazione respira.
Restano in tre. Lui, il pendolare e un ferroviere che abita a Viterbo.
"Vigliacco," dice il pendolare. "Glielo dica lei, allora, che il suo Coordinatore è un gran vigliacco, la prossima volta che lo sente."
"Se ne vada, forza, MI LASCI LAVORARE, dice il capostazione."
"Lavorare?"
"Guardi che io lo faccio sempre aspettare, quel treno, qualche minuto."
"Oggi no."
"Oggi no, è andata così, gliel'ho già spiegato. Lei è in torto."
"No, le cose non stanno così. Il suo Coordinatore prima di darle quell'ordine doveva comunque informarsi cosa succedeva a Orte, se il treno in corrispondenza accusava un forte ritardo oppure se stava per arrivare, e lei, anche lei, prima di telefonare a Roma, doveva telefonare a Orte, perché lei lo sa chi lo prende quel treno, perché questo dovrebbe essere il vostro lavoro… perché ci vuole così poco…"
Il pendolare si sfoga, il pendolare sta per piangere.
"7 minuti," mugola. "Solo 7 minuti."
"Almeno foste sadici, almeno. Sarebbe una spiegazione," dice, e si allontana. "E invece no, è peggio." Il pendolare parla da solo, ormai. "Sono indifferenti," dice tra sé. "Ma sì, falla partire, dai… Non gliene importa niente. Neppure sanno cosa decidono. Svolgono male il loro lavoro. Con sufficienza. Svogliatamente. Senza assumersene mai la responsabilità. Tanto che ne sanno loro di quanto può essere importante una coincidenza nella vita. Le coincidenze non esistono più. È inutile che le aspetti. Le hanno abolite. Per sempre." Il pendolare è fuori. Parla ancora, a voce alta. "Din don, si informano i signori viaggiatori che il treno è in orario," dice. Ora il pendolare è sceso dalla banchina. Sta attraversando i binari, gli occhi bassi. "Grazie e arrivederci a presto sui nostri treni."
Ride, il pendolare ride.
Deden deden, deden deden…
"Allontanarsi dal terzo binario, allontanarsi dal terzo binario," scandisce il capostazione di Attigliano dal microfono.
Ora ci sono 31 persone sul marciapiede che urlano, ma il pendolare non le sente, il pendolare non le sente più.
"Oggi è il giorno della marmotta, il giorno della marmotta di Attigliano," dice ancora tra sé. Un treno merci copre definitivamente la sua voce.

La banda Robin Hood