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Speciale "La freccia dell'alto lazio"

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IL VITERBETTO: VISITA GUIDATA E ISTRUZIONI PER L'USO


Il Viterbetto.
Su di lui circolano voci e leggende spericolate.
In tutto il mondo.
È un po' come Harbie, il maggiolino della Disney. O il Nautilus. Un mito di ieri. E di oggi. Un'opera pop. Dicono che Andy Warhol ne possedeva uno nel salotto della sua casa. Monumento postmoderno alla civiltà dei trasporti.
Ma se vuoi vederlo, non c'è bisogno di seppellirsi in un museo. Lui è in mostra permanente. Da decenni. Alla stazione di Orte. Generalmente lo trovi fermo al primo binario. Quando ci arrivi in tempo. Alle 15.04, alle 17.04, alle 19.04… Perché il Viterbetto è come uno di quegli amanti scontrosi e impulsivi, che non aspettano mai. Bastano pochi minuti di ritardo e puf! il suo nome e il suo orario sono già spariti da tutti i monitor della stazione. A te non resta che osservare sconsolatamente il vuoto che ha lasciato nella tua vita. Per questo, passeggere cerimonioso, stralunato viandante senza speranza, quando miracolosamente ti ci imbatti, vorresti piangere di commozione. Il treno dei desideri, che non soltanto nei tuoi pensieri all'incontrario va, è lì, davanti a te. Un treno fantasma, apparso dal nulla. Una visione.
L'isola del tesoro.
L'angelo azzurro.
L'esercito della salvezza.
Non puoi sbagliare. Non corri il rischio di confonderlo con un Eurostar. O un intercity qualsiasi. Perché lui è unico. Insostituibile.
Innanzitutto l'odore.
Ci entri dentro quasi con trepidazione. E ne vieni subito assalito. Un odore di spezie d'oriente. Di cannella e chiodi di garofano. Di anemoni andati a male. Di caravanserragli sugli Urali. Dei destrieri di Gengis Kahn. Delle pelli di muflone conciate dai Sioux. Delle acque albule di Budapest. Di un piatto di baccalà fritto a Lisbona…
Un odore di oceani e di transiberiane.
Di vita agra.
Tutto il tuo corpo ne viene impregnato. Le mani, i capelli. E i vestiti. Non bastano dieci lavatrici consecutive per toglierlo. Tu continuerai a sentirlo. Perché fa parte del viaggio: ti resta nel naso. E nella testa. Per sempre. Come quello di certi refettori dell'infanzia che a volte tornano a offrire la scena ai peggiori incubi. Del resto, il Viterbetto un'aria di refettorio ce l'ha a prima vista, composto com'è da una carrozza lunga e una corta, alternate almeno tre volte fino alla motrice: un unico interminabile e smisurato corridoio, stretto ed esasperante come tutti i corridoi. Una pista d'atletica. Una corsia ciclabile per tutti i pendolari che lo abitano. Dappertutto prevale il colore blue. Sulla fusoliera, le porte, i sedili. Blue cobalto anche loro, con striature di gradevole lordura: scritte senza nesso sullo schienale e sulla seduta, nidi di acari, ciuffi lerci di gommapiuma.
I sedili.
Altro brevetto originale.
L'esperimento di un anatomista in vena di scherzi. Di un ortopedico sadico. Perché sul Viterbetto non si possono allungare le gambe in alcun modo. È inutile che ci provi, viaggiatore volenteroso e pretenzioso. Non riuscirai a guadagnare una posizione corretta. T'incurvi, ti pieghi, ti deformi. Invano. Alla fine scivoli, scivoli lungo il sedile, mentre le gambe ti si storcono peggio di un contorsionista vietnamita. Ma il vero pezzo forte dell'arredo sono le tende. Ancorate al vetro da un processo di secolare fossilizzazione, se anche vi riesce di tirarne giù una e di manovrarla, vi accorgerete che non ce ne sono due uguali, come tra le colonne del chiostro di Monreale. Tutte presentano squarci futuristi di vario segno, ma ognuna in un punto diverso; alcune hanno la banda metallica penzolante alla base, insieme a brandelli di stoffa; altre, prima ancora di schermare la luce, la oscurano sollevando polveroni altamente tossici, a dimostrare la forza tenebrosa del tempo che si deposita su tutte le cose.
Ma ad ogni inconveniente, il Viterbetto oppone una risorsa.
Nuvole di sudiceria? Basta ventilare l'ambiente.
Oliatissimo, infatti, il meccanismo di scorrimento delle porte, tra un vagone e l'altro. Così facile che gli stessi capotreni ti pregano di non chiuderle. A riaprirle non basterebbe la forza di un nerboruto lottatore di wrestling. Il colpo della strega è assicurato, come sanno bene i veterani. Tanto vale tenersi il ghibli che soffia dai varchi spalancati, armonizzandosi meravigliosamente con gli spifferi dei finestrini.
Ma se tutto questo non fosse sufficiente a depurare l'aria - si sa, l'igiene è la prima cura dell'Azienda -, in tanto elegante e uniforme design, spicca in alto a ogni carrozza l'affusolata e bianchissima forma di aeratori che non hanno riscontro in nessuna altra parte del mondo e di cui non si comprende, in un intero viaggio, ritardi compresi, quale genere di aria filtrino e in che modo, restituendola come la più viziata che potrete mai respirare.
In sintonia col resto, le plafoniere che contengono le lampade al neon sono talmente ingiallite da irradiare per tutto la vettura una soporosissima luce malarica, invidiata dai migliori art director della fotografia di Hollywood, che non sono mai riusciti, nelle loro premiate carriere, a riprodurne l'effetto e scoprirne il segreto.
Perché il Viterbetto è un film irripetibile. Cinematografia pura. Un viaggio nel tempo. Quanto resta degli scarti di scena di una vasta stagione di western all'italiana.
Avete presente gli attacchi ai treni a carbone, alle corriere, alle diligenze?
Ma ancora di altri segreti e rompicapo, il Viterbetto è prodigo custode.
Su tutti, un enigma che ha incuriosito generazioni intere di pendolari: la misteriosa presenza di una ruota di ferro, accanto al bagno (altro esempio di come ricavare un ambiente confortevole da un angolo di ferrivecchi).
Una ruota come quella dei galeoni spagnoli.
La barra del timone.
E qui la fantasia si rimette in moto.
La ruota gira, seguendo la rosa dei venti. E il treno è già una nave corsara e naviga, naviga in mare aperto senza arrivare mai…

La banda Robin Hood


SECONDA RICHIESTA DELLA BANDA ROBIN HOOD

Al Presidente della Regione Lazio

Alla Direzione Generale Operativa Passeggeri di Trenitalia

Direzione Territoriale Lazio

Al Comune di Viterbo



Segnaliamo l'assenza di un diretto Roma Termini o Tiburtina-Orte-Viterbo tra le ore 14 e le 15 del pomeriggio, ora davvero infelice per chi deve ritornare a casa da quella parte, visti i continui ritardi, le coincidenze che non aspettano, ecc. ecc.
Un diretto a quell'ora completerebbe un'offerta pomeridiana soddisfacente, più o meno ogni due ore, insieme agli altri due diretti delle 17 e 07 (da Termini) e delle 19 e 13 (da Tiburtina).
Se non ci fosse modo di accontentare questa richiesta, per il sovraccarico della linea direttissima in quelle ore, i pendolari della linea Viterbo-Orte-Roma

CHIEDONO ALMENO

che i treni del primo pomeriggio che partono da Ostiense (alle 14 e 40 e alle 15 e 40), e vanno a Viterbo via Bracciano, abbiano origine alla stazione Termini, come accadeva in passato, soltanto pochi anni fa.
Questo consentirebbe a tutti una possibilità di scelta in più, nel caso, ripetiamo, sempre più frequente, di disservizi in quella fascia oraria.